
Quel disastro affascinante che chiamiamo “relazione”
L’ho appena finita — The Four Seasons, la serie Netflix ideata da Tina Fey — e confesso: ci ho riso sopra, parecchio. Ma non solo. Perché sotto lo strato brillante dell’umorismo newyorkese, delle battute al vetriolo e delle situazioni surreali, c’è una cosa molto più vera, molto più sottile. Un piccolo trattato tragicomico sulle relazioni adulte, sulle coppie che non si lasciano ma nemmeno si ascoltano, sulle amicizie che durano per inerzia, e sullo strano teatro che chiamiamo “intimità”.
Di cosa parla? Ufficialmente, di vacanze. In realtà, di relazioni incastrate.
La serie ruota attorno a tre coppie di amici di lunga data che decidono di trascorrere insieme le vacanze in ogni stagione dell’anno. Lo schema è semplice, quasi banale: primavera, estate, autunno, inverno. Ma la linearità finisce lì. Perché quello che si svela, episodio dopo episodio, è l’intreccio grottesco delle loro vite emotive: gelosie latenti, silenzi ostinati, dinamiche tossiche normalizzate, tradimenti simbolici (e non solo), battute che sono pugnalate ben mascherate.
Tina Fey ha questo talento straordinario: farti ridere con un dialogo tagliente, e subito dopo mostrarti un disagio familiare che, se ci sei passato, lo riconosci al volo.
Le coppie come specchio dell’insofferenza
Quello che mi ha colpito di più — da psicoterapeuta ma anche da semplice spettatore — è quanto le dinamiche tra i personaggi siano autentiche, anche quando sembrano sopra le righe.
C’è la coppia che ha smesso di parlarsi davvero, ma continua a fare tutto insieme per abitudine. Quella in cui uno dei due cerca disperatamente leggerezza, mentre l’altro è emotivamente anestetizzato. E poi c’è quella apparentemente perfetta, che però funziona solo finché resta nel ruolo assegnato: appena uno si sposta di mezzo millimetro, l’altro implode.
Sono relazioni realistiche non perché ideali, ma perché profondamente difettose. Eppure vere. È così che spesso si ama dopo i trentacinque, dopo le delusioni, dopo i figli, dopo i compromessi. Si ama con ruggine, con memoria, con una certa quota di cinismo. E, a volte, nonostante tutto.
Ironia come difesa, ma anche come verità
Quello che la serie mostra benissimo — e che trovo estremamente utile anche da un punto di vista clinico — è l’uso costante dell’ironia come scudo. I personaggi si punzecchiano, si feriscono con classe, si nascondono dietro le battute. Ed è proprio lì che accade qualcosa di psicologicamente interessante: la comicità non è evasione, ma contenimento. Serve a non collassare.
È un meccanismo di difesa sofisticato, quello dell’ironia. Ci permette di dire cose vere senza esporci del tutto. Ma se diventa l’unico registro, se non c’è spazio per la vulnerabilità esplicita, allora può trasformarsi in distanza, in incomunicabilità emotiva.
The Four Seasons ti sbatte in faccia questo paradosso: persone brillanti, intelligenti, affettivamente mature — che però non riescono a dirsi le cose fondamentali se non passando da un commento sarcastico o da una battuta fuori luogo.
Le coppie secondo la psicologia: tre dinamiche tossiche ben camuffate
Dopo aver riso (amaramente), la domanda è: ma perché restiamo in relazioni che ci frustrano, ci logorano, ci fanno sentire soli anche in due? La risposta non è semplice, ma qualche indizio clinico ce lo possiamo concedere.
1. L’ironia come meccanismo di difesa (che a volte difende troppo)
L’ironia è uno dei meccanismi di difesa più eleganti. Fa sembrare tutto leggero, anche quando ti sta crollando il mondo. Ma se diventa l’unico modo di comunicare, impedisce ogni profondità. Si ride per non piangere. Si scherza per non confessare che si sta male.
2. L’attaccamento evitante: ti voglio… ma solo da lontano
Molti dei personaggi sembrano autonomi, forti, emotivamente sobri. In realtà, mettono distanza ogni volta che l’altro si avvicina troppo. Sono quelli che vogliono “stare insieme”, ma poi si barricano dietro l’indipendenza. Lo stile di attaccamento evitante si nutre di distanze di sicurezza.
3. La co-dipendenza mascherata da “complicità”
Altre coppie, invece, sembrano inseparabili. Parlano allo stesso modo, fanno tutto insieme. Ma sotto questa sincronia si nasconde spesso una co-dipendenza: la paura di non esistere senza l’altro. Quando l’identità individuale si sacrifica per mantenere in piedi la relazione, siamo già nella zona rossa.
E quindi? Si può ancora credere nei legami lunghi?
Sì, ma serve cambiare la narrazione. Le relazioni sane non sono quelle senza conflitti. Sono quelle dove si può litigare senza distruggersi, dove si possono dire le verità scomode, dove si tollera l’ambivalenza. Dove l’ironia è solo un colore del quadro, non l’unica tinta.
Serve imparare a:
-
Comunicare davvero, anche se fa male.
-
Tollerare il silenzio, la noia, le pause.
-
Accettare che amare non significa “fondersi”, ma restare accanto.
-
E, magari, farsi aiutare. Perché no. La terapia non è per chi “ha problemi”. È per chi vuole smettere di ripeterli.
Conclusione terapeutica (ma con humour)
Guardare The Four Seasons non ti salverà la relazione. Ma potrebbe aiutarti a riconoscerla per quella che è: un campo di battaglia affettivo dove si ride, si inciampa, si recita… e ogni tanto, miracolosamente, ci si incontra davvero.
Tina Fey ci regala uno specchio comico e crudele. Sta a noi decidere se riderci sopra… o iniziare finalmente a parlarne.