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Nella Mia stanza

Nella Mia stanza

Ricordo esattamente l’anno in cui lessi, per la prima volta, un articolo sul fenomeno Hikikomori.

Nel 2010 lavoravo molto con gli adulti e con le aziende ed il “fantastico mondo degli adolescenti” era un po’ lontano da me, come un Paese di cui conoscevo l’esistenza ma che, da tempo, non visitavo più (per cui non potevo essere a conoscenza delle possibili “trasformazioni”).
L’articolo di quei giorni dava notizia della diffusione di questo fenomeno in Giappone, che aveva avuto addirittura origine dalla metà degli anni ottanta, con un incremento sostanziale verso la fine degli anni novanta fino a individuare, nella seconda metà degli anni duemila, circa un milione di giovani coinvolti, circa l’1% della popolazione. Il fenomeno dello hikikomori era considerato come una volontaria esclusione sociale, una ribellione degli adolescenti giapponesi alla cultura tradizionale e all’intero apparato sociale. Questi giovani, che fino ad allora avevano condotto una vita “normale”, avevano deciso di rimanere reclusi nella loro casa o nella loro stanza senza alcun contatto con l’esterno, né con i familiari né con gli amici. A chiunque di noi, questo “status” non può che fare venire in mente questo ultimo anno, trascorso chiusi nelle nostre case non per scelta ma a causa di una pandemia mondiale. Ed è proprio parlando dei giorni nostri che in questi mesi si ritorna a parlare insistentemente di Hikikomori.
Cerchiamo di comprendere meglio in cosa consista.
Il termine giapponese “Hikikomori” significa “stare in disparte, isolarsi” e indica gli adolescenti che non vanno a scuola (o si rifiutano di partecipare alla tanto discussa DAD) e che, rifiutando qualsiasi contatto con il mondo esterno (famiglia inclusa), vivono chiusi in camera per settimane, inizialmente, mesi o per alcuni anni, in perfetta simbiosi con il computer, costantemente immersi in un mondo prettamente virtuale nel quale i rapporti sociali diretti vengono sostituiti con quelli mediati via Internet.
Oltre all’isolamento sociale, gli hikikomori sviluppano, gradualmente, depressione e comportamenti ossessivo-compulsivi, assumono poco cibo e, quando lo fanno, mangiano esclusivamente nelle loro stanze La mancanza di contatto sociale ha delle forti ripercussioni sugli hikikomori, che, in maniera graduale, smarriscono sia i riferimenti comportamentali sia le capacità comunicative per instaurare dei rapporti con il mondo esterno.
In Italia, grazie a degli studi condotti qualche anno fa dallo psicoterapeuta Antonio Piotti, si rileva che un ragazzo ogni duecento manifesta comportamenti a rischio di reclusione sociale (nella città di Milano, gli adolescenti che corrono questo rischio sono circa duemila). I sintomi di questa patologia, secondo lo psicoterapeuta, sono soprattutto una forte avversione e un opprimente disagio nei confronti della scuola, percepita come un’ambiente che costringe a costruire rapporti sociali legati al confronto e l’uso del computer per circa otto ore al giorno.
E’ molto utile in questo caso il supporto di uno psicologo (in presenza ma anche da remoto, laddove non fosse possibile spostarsi agevolmente). In molti casi anche solo cambiare stanza risulta un vero e proprio passaggio all’esterno. Per tale motivo può aiutare utilizzare uno spazio della casa dove c’è abbastanza silenzio e privacy (differente dalla camera nella quale il ragazzo si è rinchiuso). Il ruolo dei genitori o di chi vive con i ragazzi è fondamentale e merita molta pazienza e delicatezza perché, se proposto come un obbligo, risulterà probabilmente fallimentare.
Non sottovalutiamo mai questi “atteggiamenti”, non confondiamoli come “un periodo che passerà”, diamo loro la possibilità di esprimere malesseri e sentirsi meno soli.
FR

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