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A cena con Ansia

A cena con Ansia

I disturbi d’ansia comprendono disturbi che hanno come caratteristiche principali paura (risposta emotiva ad una minaccia imminente) e ansia (anticipazione di una minaccia futura) eccessive e disturbi correlati. Questi due aspetti si sovrappongono e a volte possono essere messi in atto comportamenti di evitamento. I disturbi d’ansia sono diversi l’uno dall’altro per la tipologia di paura o ansia che scatenano o per l’ideazione cognitiva associata. I disturbi d’ansia differiscono dalle naturali paure o ansia per la persistenza e eccessività, anche rispetto allo stadio di sviluppo. Molti disturbi d’ansia esordiscono nell’infanzia e permangono tutta la vita, se non vengono curati. I disturbi d’ansia sono classificati in: 1. disturbo d’ansia da separazione; 2. mutismo selettivo; 3. fobia specifica; 4. disturbo d’ansia sociale; 5. disturbo di panico; 6. Agorafobia; 7. disturbo d’ansia generalizzato; 8. disturbo d’ansia indotto da sostanza/farmaci; 9. disturbo d‘ansia dovuto ad un’altra condizione medica.

Ho “incontrato” per la prima volta l’ansia sotto forma di una simpatica ragazza. A differenza del sorriso che ha stampato sul viso, L. si definiva “sfigata, rigida, piagnona” ma soprattutto estremamente timida e scontrosa, anche “se adesso va molto meglio”.
L. dall’età di 13 anni ha sofferto di disturbo d’ansia sociale i cui criteri diagnostici “prendono vita” con veri e propri attacchi di paura o ansia in situazioni sociali nelle quali si è esposti al possibile esame e/o giudizio degli altri. Interazioni sociali, come avere una conversazione, incontrare persone sconosciute alla fermata del bus o in fila alla posta, essere osservati (mentre si fa sport, si fuma una sigaretta ecc) o parlare in pubblico, come per esempio durante un colloquio di lavoro o in quei casi in cui il proprio lavoro consista nell’entrare in contatto con altre persone (nella maggioranza dei casi): tutte situazioni che mandano “in tilt” la persona.

F.: Buonasera L. E’ molto raro incontrare un cliente a quest’ora ma i nostri impegni non ci hanno dato scelta (sono le 21,00).
L: Buonasera, vorrà che dire che l’articolo che scriverà potrà intitolarlo A cena con Ansia.
F.: Mi hai dato un ottimo suggerimento, spero tu non mi chieda i diritti d’autore dopo. Tu hai sofferto di Disturbo d’ansia sociale, definito anche Fobia sociale. Puoi parlarmene?
L.: In realtà non parlerei al passato visto che, anche se non posso neanche lontanamente paragonare il passato ad oggi, continuo a fare a braccio di ferro con l’ansia in generale. Intorno ai 13 anni ho iniziato a diventare molto paurosa e sentire ansia, soprattutto quando si trattava di parlare con altre persone o andare alle feste o quando qualcuno mi rivolgeva la parola (tipo amici dei miei genitori o miei coetanei).
F.: Cosa accadeva, nello specifico?
L.: Sono sempre stata una bambina molto timida, chiusa, impacciata. Stavo bene nella mia stanza, con le mie cose, i miei giochi e, andando bene a scuola, nessuno si preoccupava che io non socializzassi praticamente con nessuno. Il problema è nato quando a quell’età iniziano le feste tra compagni di scuola, le uscite il sabato pomeriggio e la scuola e le interrogazioni diventano più una cosa da adulti. Ricordo ancora una festa a scuola, per festeggiare l’arrivo della primavera, tutti i ragazzi che si rincorrevano nel cortile, le insegnanti che chiacchieravano ed io muta in un angolo. Una delle mie compagne provò ad inserirmi in un gioco che stava facendo con altre ragazze di altre classi, fu tremendo. Ci provai ma dopo pochi minuti mi sentii molto nervosa, mi immobilizzai all’inizio per poi cercare di scappare. A quell’età non ero consapevole del fatto che tutto fosse sproporzionato alla situazione reale e ricordo che mi era sembrato impossibile e doloroso.
F.: Cosa è successo in seguito?
L.: Nessuno si preoccupò della mia reazione per cui tutto andò diciamo in modo liscio. Erano sempre più rare le occasioni in cui partecipavo a situazioni sociali, mi impegnavo moltissimo nello studio e cercavo di evitare ogni tipo di situazione nella quale fosse necessario entrare in contatto con chiunque (parenti compresi, ad esclusione dei miei genitori).
F.: Che cosa è successo ad un certo punto?
L.: Ad un certo punto erano già passati 5/6 anni, arrivò il diploma e fine della scuola. A settembre l’inizio dell’Università e lo scontro con la realtà. Per i primissimi giorni fu più facile perché stavo per i fatti miei, con il passare delle settimane iniziò l’incubo. Andare all’università con i mezzi pubblici diventò insopportabile perché qualcuno mi rivolgeva la parola, anche solo per chiedermi indicazioni, i compagni di facoltà erano per me fonte di ansia e, secondo me, tutti d’accordo sul fatto che io fossi stupida, insignificante, noiosa e tanto altro ancora. Non parliamo poi degli esami, studiavo moltissimo ma davanti ai professori facevo scena muta andando in totale confusione. Se lo studio mi aveva salvato da piccola, a quel punto mi ha messo in difficoltà. I miei genitori iniziarono a chiedermi conto degli esami non dati, dei silenzi, chiusa in camera, e del perché non frequentassi nessuno. Dissi quello che a me sembrava ovvio: “la gente mi fa paura, tutti pensano che io sia noiosa e triste, se qualcuno mi rivolge la parola io mi blocco”. Non fu semplice spiegarlo ma non avevo altra scelta. Così arrivo il primo appuntamento dallo psichiatra. Avevo 20 anni. Non fu piacevole perché durò poco (per me moltissimo) e si risolse con un certificato medico. Avrei dovuto prendere delle pasticche che mi avrebbero calmato quando arrivava la paura e l’ansia. Lo psichiatra consigliò vivamente di incontrare uno psicologo ma questo avvenne solo dopo 3 mesi. Per me era impensabile andare da uno psicologo perché voleva dire parlare con qualcuno, capito, parlare con uno sconosciuto.
F.: E come è andata?
L.: All’inizio molto male, mi sembrava assurdo che per guarire io dovessi stare dentro ad una stanza per 2 volte a settimana, con qualcuno che non mi conosceva. E invece andò bene. Iniziai ad aprirmi un po’ alla volta, raccontai situazioni del passato, della mia famiglia e, dopo un po’ di tempo, anche dei miei bisogni come ragazza e come donna. E’ stato tutto molto lento, una lentezza piacevole perché nessuno forzò nessuno. Non mi sono mai sentita giudicata o messa sotto osservazione. Sono passati molti anni ed oggi va molto meglio. Nel frattempo, ho dato i miei esami e mi sono anche laureata. Mi sono sforzata per creare delle relazioni con persone molto simili a me, con le quali fare delle passeggiate o andare al cinema. Ho smesso di prendere le pasticche, che tanto mi sono state utili, ma ne conservo sempre una in borsa, nel caso in cui dovesse riaccadere.
F.: Ti sei mai chiesta da cosa sia dipeso il tuo disturbo?
L.: Qualche volta, incolpando i miei genitori, i miei compagni di scuola, gli insegnanti e la città in cui sono nata, ma con il tempo ho imparato a pensare sempre di più a quello che sarei potuta diventare. Nessuno aveva alcuna colpa. La forza è stata li.
F.: Grazie per le tue parole, si è fatto veramente tardi.
L.: Ho dovuto cancellare un appuntamento per andare al giapponese per venire qui ma ci andrò domani.
F.:……………………………………………………………………………………………..

FINE

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